Intervista rilasciata per il quotidiano Metropolis
Che cosa impareremo da questa emergenza?
Questa è la domanda che spesso mi pongo e rispondere non è facile.
Se penso all’avanzata dei nuovi fascismi devo pensare che molti dalla storia non hanno imparato nulla e che in situazioni in cui il male ha il sopravvento gli uomini si incattiviscono.
Ma questa pandemia è stata molto “democratica”, ha colpito tutti senza distinzioni di classe, reddito o cultura ed ha dimostrato che “nessuno si salva da solo”!
Ed allora voglio sperare che questa sia l’occasione per capire finalmente che l’individualismo a livello personale e nazionale non va affatto bene!
Quando si vive in una comunità dal comportamento dell’uno dipende il benessere dell’altro ed il “contagio” è stata una grande lezione, che, però, troppi hanno pagato a caro prezzo!
Altri “protagonisti” di queste settimane sono stati il silenzio e la solitudine.
Entrambi oggi fanno paura a molti ma io credo che possano essere il mezzo per trovare una pace profonda ed una nuova gioia.
Giovanni De Gregorio, terapeuta stabiese, sul suo blog ultimamente in un articolo intitolato “Da soli con se stessi: la vera sfida!” ha giustamente detto che ora che ci sono “tifosi senza partite”, “insegnanti senza alunni”, “commercianti senza clienti”, “preti senza fedeli”, tutti hanno il tempo per fermarsi e riflettere.
La nostra società, prima del lockdown, viveva freneticamente, era ricca di eventi e di ritualità da “inscenare” ma raramente in tutto ciò vi era profondità!
Da una vita dominata da impegni sempre più serrati, dallo smartphone usato in modo compulsivo, dalla connessione continua, dalle notizie flash siamo stati sbalzati in una quarantena imposta e dolorosa in cui si annaspa. Da “una vita -come dice bene Enzo Bianchi – nella quale a volte s’invocano come salvifici il tempo, il silenzio e la solitudine, senza però trovarli mai” ora molti non riconoscono più la propria vita e non si ritrovano nemmeno più con se stessi.
I latini dicevano “in medio stat virtus” ed è molto saggio ciò, dovremmo imparare a vivere una vita che contempli insieme la folla ed il silenzio. Ma, una volta usciti dalla quarantena, daremo un nuovo stile alla nostra vita, uno stile più moderato e fatto di essenzialità? Me lo auguro di cuore!
Conosco bene la paura del silenzio e della solitudine perché le ho vissute sulla mia pelle all’inizio della sospensione del mio ministero sacerdotale.
Ho trascorso un lungo periodo di isolamento e solitudine e l’unico modo che avevo per esorcizzare la paura era il contatto con la natura, il mare, la montagna…ho scoperto un volto nuovo di Dio, che mi ha permesso di riscoprirmi figlio al di là della tonaca.
Seguo in questi giorni tanti amici preti che si danno da fare sui social e mi accorgo di come l’ardore di continuare ad annunciare il Vangelo li spinge ad escogitare con creatività tante iniziative pastorali. La paura di perdere i fedeli li spinge a cercarli lì dove sono.
Mi ha colpito, poi, la storia di un sacerdote mio amico che ha visto il padre prelevato da casa, portato in ospedale e morto senza vedere i suoi cari. Tutto ciò crea angoscia e paura e ci mette di fronte ad una morte che così è ancor meno umanamente sopportabile.
Vediamo ogni giorno come si cerca di esorcizzare la solitudine e la paura mettendosi prima a cantare insieme sui balconi e poi ritrovandosi la sera ancora insieme su Facebook per pregare.
Stare soli con noi stessi fa paura ma può far sorgere molte domande sulla qualità dei nostri rapporti, su cosa ci sta a cuore, su cosa sono gli altri per noi, domande che possono aiutarci a vivere meglio. Siamo abituati a riempire il silenzio di tante cose e non abbiamo mai tempo per pensare. Questo tempo allora è anche un’opportunità per pensare ed ascoltare ed acoltarci! Abbiamo scoperto che il vuoto provoca angoscia, ma pone domande e fa scoprire il valore dei sentimenti, degli affetti, della presenza degli altri, dei nostri amori che ci fanno sentire emozioni, che ci fanno sentire vivi e gustare la vita. E tutto questo ci arricchisce perchè ci rende più consapevoli.
Riflettevo, poi, anche su un’altra cosa. Dall’ 8 marzo sono chiuse in tutta Italia sale giochi, sale bingo e sale scommesse. Il gioco rappresenta per i giocatori la dimensione ideale per non pensare!
In questi giorni sento al telefono le persone che ho in carico al servizio di Accoglienza del Gruppo Abele con problematiche di dipendenza dal gioco. Questa restrizione ha modificato il loro comportamento e la sensazione che quasi tutti condividono è la paura di sentirsi abbandonati oppure di non avere nessuno accanto ma, paradossalmente, il virus è servito quasi a risolvere il problema del gioco portando i giocatori a fare i conti con le proprie angosce ma anche a scoprire le ricchezze interiori. Le ricchezze interiori sono come il lievito (un elemento introvabile al supermercato, insieme alla farina, almeno a Torino!) e tutti ne abbiamo, chi più e chi meno!
Basta un pizzico di lievito per un pezzo di pane. Quel pizzico di lievito cresce e acquista valore quando si mescola con l’acqua e la farina. Ed allora voglio usare questa immagine per esprime il mio augurio che ognuno abbia scoperto le proprie risorse e che esse possano essere “lievito” una nuova società, una volta usciti dalla quarantena, più umana e più solidale!
Pasquale Somma
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