La mia ultima Gmg me la ricordo bene, con molta amarezza e tanto rammarico. Ho preparato lo zaino ma non mi hanno lasciato partire. Ho fatto salire sul pullman i ragazzi albanesi grazie al l’amicizia con Mons. Galantino a cui avevo chiesto 20 Kit e pass gratuiti per i giovani albanesi. Mentre il mio vescovo aveva offerto loro il biglietto per il viaggio in pullman. Quell’estate del 2016 tra le altre cose era successo anche questo. Avevo dato la mia parola ai ragazzi albanesi che avevo conosciuto nei campi estivi di volontariato. Gli avevo promesso che li avrei portatati alla GMG di Cracovia. Avremmo fatto il campo estivo insieme, con i ragazzi della diocesi e da Tirana saremmo partiti per Cracovia. Don Aniello e don Michele mi dissero che non era opportuno “andare, partire…” perché li avrei feriti e delusi visto che da lì a poco avrei lasciato il ministero sacerdotale. A Gennaio del 2017 sarebbe nata Anna Maria. Questa è stata la mia ultima GMG preceduta da quella di Madrid, da quella di Colonia, da quella di Toronto, da quella di Roma, è da quella di Parigi. Ognuna da un sapore diverso ma condite dalla stessa voglia di mescolarsi con il mondo, incontrare popoli da ogni dove, scambiarsi esperienze, amuleti, cose…sento ancora l’emozione di quello zaino preparato di corsa tra un campo scuola e un altro, senza dormire, acciaccato e con il cuore gonfio ancora di amori fuggitivi e inquieti. Ho sempre sofferto il fatto che mi innamoravo spesso pur essendo seminarista. L’estate era una tempesta di emozioni e quando c’erano le Gmg era uno tsunami. Il cuore mi batteva così forte che mi scoppiava di gioia. Era una cazzottata tra mente e cuore. Rosari recitati accoccolati, cosce sudate e appiccicate, cestini per il pranzo condivisi e spacciati quando la merce si esauriva, cappelli e bandane imbiancate dal sudore della fronte che ti facevano sentire il capo ultrà più figo è più bello del mondo in quella piana di cristiani. Non le ho più provate sulla pelle quei colpi di calore che ti segnano per sempre. Ieri sera però a Lisbona tra i testimoni illustri c’era il mio capo. Ed io ieri sera ero in Calabria, a Falerna, a fare il capo ultrà della mia famiglia. Non volevo perdermi il suo intervento e ho seguito la diretta live su Sat2000. Mi sono rivisto nei volti dei ragazzi e delle ragazze inquadrate dalle telecamere che ascoltavano assorti. Ero lì anch’io. E quelle parole, in quel contesto arrivano diritte al cuore: “Io dico sempre che il futuro inizia nel presente. Nel presente e dal presente si gioca la partita della vita e che questa partita della vita dobbiamo giocarla insieme, giovani e adulti”.
Ci credo ancora. Ci credo che i giovani sono il presente, lo dicevano anche a me quando ero giovane anche se a volte era una presa in giro, ma io ci credevo, come ho creduto di vivere il Vangelo nella sua radicalità. E l’ho fatto sul serio. Mi è mancato l’incontro autentico di qualcuno che mi accogliesse nelle mie fragilità. Quelle stesse fragilità che dall’adolescenza mi sono trascinato dietro. E poi ci ho fatto i conti troppo tardi. Oggi grazie a quelle fragilità sono diventato un uomo forte. Ieri il mio capo l’ho ha ribadito: “Dio ci dà appuntamento nella fragilità. Dobbiamo andare di fretta come ci diceva don Tonino Bello, andare e unire le nostre fragilità. Le frustrazioni sono positive quando aiutano a misurarci. Non dobbiamo darla vinta al male, ma evitare l’errore più grande di rinunciare a vivere. Vangelo e Costituzione non diventino soprammobili lasciati lì a prendere polvere sugli scaffali dell’esistenza come accade se manca la responsabilità cioè la cura del bene comune. Dobbiamo osare di più avere più coraggio. Una politica che sia capace di cambiare le cose, intesa come servizio perché non vinca la legge della forza ma la forza della legge.
Dico sempre che Gesù parla soltanto dopo aver servito. Prima serviva, faceva, e poi parlava. Questo diventa importante anche per noi. Altrimenti la gente non crederà alle nostre parole. Perché oggi c’è bisogno di tanta concretezza, c’è bisogno di gesti significativi. Noi dobbiamo trasformare la preghiera in vita e la vita in preghiera. Perché se la preghiera non parte dalla vita delle persone non serve”.
Erano queste le cose che mi facevano sussultare. Sapere di poter vivere una vita piena, radicale come il Vangelo. Preghiera vera nonostante la stanchezza e la scomodità di quelle giornate scandite dal rumore dei tamburi di giorno per tutta la notte. I sacchi a pelo sempre troppo stretti e il risveglio umido dalla voce rauca.
C’è un tempo per ogni cosa. Un tempo per andare alle GMG e un tempo per fare in modo che i tuoi figli vadano alle GMG. Un tempo per andare con lo zaino in spalla e un tempo per vedere il tuo zaino sulle spalle di tuo figlio.
Ma alla fine a cosa servono questi raduni? Sono davvero importanti? Sono quasi trent’anni che sento queste obiezioni. E, un po’, le comprendo. Ma se mi baso non su una riflessione astratta, ma sulla mia vita concreta, sulla mia esperienza diretta, posso solo dire che le GMG sono state non importanti, ma determinanti. Senza Parigi, Roma, Toronto, Madrid e Cracovia non sarei quello che sono. Non avrei fatto le scelte che ho fatto. Non foss’altro perché, proprio a Parigi, mentre confermavo la mia vocazione “alzandomi in piedi” e presentandomi alla folla come un eroe, ho sperimentato la bellezza di essere amato con le mie contraddizioni di adolescente. E ho capito che la mia vocazione non era né il matrimonio, né il sacerdozio: la mia vocazione era amare ed essere amato. La GMG di Roma, con il discorso di Tor Vergata, che reputo il manifesto politico più importante per i cattolici del terzo millennio, ha segnato lo stile del mio impegno nel mondo al di là della veste che indossassi.
Senza quel “voi non vi rassegnerete” non mi sarei impegnato dopo la rinuncia del celibato a continuar a vivere nel servizio della chiesa.
Senza Colonia non avrei avuto il coraggio di osare con l’amore di Dio. No avrei avuto il coraggio di rischiare con la fede, con la bontà, con il cuore puro! E proprio a Colonia sono finito in prima pagina sui giornali tedeschi mentre camminavo affianco a BXVI durante il suo arrivo alla GMG. E a Madrid abbiamo sperimentato la Grazia della Provvidenza. Tanti giovani che erano venuti al campo di volontariato in Albania non potendosi permettere la spesa di una Gmg mi spinsero a sfidare la provvidenza e così partimmo con il solo biglietto di andata e sperimentammo quanto Dio veda e provveda. In quella Gmg, mia sorella Annamaria ci annunciò la sua scelta di consacrarsi alle missionarie della Carità, le suore di Madre Teresa.

È stato necessario proprio fare i conti con quella solitudine di cui ieri ci ha raccontato don Luigi:
“Perciò ai giovani augurerò la solitudine. Da non confondersi con l’isolamento. Perché è nella solitudine che tu vivi le tue emozioni. Questo tuo guardarti dentro, il tuo prendere coscienza. Dunque c’è bisogno di solitudine perché noi siamo schiavi dei social e della tecnologia. Non sono da demonizzare, ma abbiamo bisogno di fermarci per guardarci dentro”.
Oggi faccio tesoro di tutto questo patrimonio. Nel mio piccolo continuo a vivere quella radicalità del Vangelo nelle accoglienze del Gruppo Abele. Ci siamo io ed Elisa e ci sono Anna Maria e Stanislao. Abbiamo imparato a guardare la formica come ci ha raccontato don Luigi a conclusione del suo discorso: a differenza di noi uomini, la formica ha due stomachi, il primo per alimentarsi lei, il secondo dove conserva una parte di cibo per le formiche più fragili quando torna nella sua “casa”. Dio è negli ultimi e oggi sono sicuro di trasformare la preghiera in vita e la vita in preghiera.
Il Signore guidi i tuoi passi e ti doni quella certezza che ti eviti errori più grandi…! Sto con Te…