Luca 10,1-9
In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”».
Un noto proverbio dice: tutti gli agnelli diventano lupi quando ci sono i quattrini…rovesciando completamente il senso del Vangelo o meglio ancora abusandone. È il grande rischio che si corre quando il servizio diventa potere.
La Chiesa, la comunità di coloro che son stati raggiunti da Cristo, è essenzialmente missionaria.
Raggiunta dall’Amore, va in cerca dell’uomo per riversarvi lo stesso amore: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».
Ciò che colpisce nel Vangelo di oggi è il movimento che vi si respira, la dinamicità: li inviò; perché mandi operai; andate; vi mando…
Raggiunti da Cristo, dall’Amore si è “necessariamente” inviati, si è spinti fuori di sé, si è de-centrati: «L’amore di Cristo ci possiede» (2Cor 5, 14), ovvero ci sospinge, ci proietta fuori di noi.
Il ‘fatto religioso’ non è mai una questione intima con Dio. O c’è un terzo da raggiungere o è tutto un pretesto. O il rapporto con Dio attira il fratello in questo circolo d’amore, o è semplice sentimentalismo romantico. Ma non cristianesimo.
Gesù manda i suoi discepoli nel mondo a coppie: due a due. Certo, perché la missione, ovvero il compimento del cuore, sta nell’amore. Ora per amare occorre essere, almeno, in due. L’uomo che ama il suo io, semplicemente implode, opta per un suicidio esistenziale, il medesimo di cui rimase vittima Narciso.
Due è il numero dell’amore. «Non ci sono parole per esprimere l’abisso che corre fra l’essere soli e l’avere un alleato. Si può concedere ai matematici che quattro è due volte due; ma due non è due volte uno: due è duemila volte uno» (G. K. Chesteron, L’uomo che fu Giovedì).
Il “salutismo spirituale”, che si preoccupa solo della salvezza della propria anima, indica una pericolosa deformazione. Non si può stare soli neanche dinanzi a Dio. «Ci si salva tutti insieme, collegialmente, come diceva Solov’ëv: sarà salvato chi salva gli altri. Doroteo di Gaza ci dà una bella e chiara immagine della salvezza: il centro del cerchio è Dio e tutti gli uomini sono sulla circonferenza; dirigendosi verso Dio ognuno segue un raggio del cerchio e più si è vicini al centro, più i raggi si avvicinano tra loro. La distanza più breve tra Dio e l’uomo passa per il prossimo». (P. Evdokimov)
La missione a cui abilita Gesù deve avere le caratteristiche di quella di Cristo. Chi è dei suoi, anzi chi è ‘suo’, vive come lui è vissuto: «Chi dice di dimorare in Cristo, deve comportarsi come lui si è comportato» (1Gv 2, 6.)
Infatti come è facile amarlo e al contempo lavorare ‘contro’ di lui. Come ha fatto Pietro, che Gesù chiama satana. Infatti rifiuta la croce, presume di essere meglio di tutti e usa le armi del nemico per difenderlo. Come hanno fatto Giacomo e Giovanni, che per ‘amore’ come i crociati di tutti i tempi, vogliono sterminare quelli che Gesù vuole salvare. I discepoli che lottano per i primi posti e che litigano addirittura nell’ultima Cena, mentre Gesù sta in mezzo a loro come colui che serve. È tragico ‘a fin di bene’, portare la maglia di Gesù e giocare per la squadra avversaria.
Si comincerà a stare dalla sua parte, si sarà cioè adatti per il regno di Dio, quando si comincerà a desiderare, a supplicare il Signore di avere un amore così grande per Lui che ci tolga dai nostri affetti disordinati.
Questa missione verso l’umanità agonizzante, si traduce in testimonianza e la prima cosa da testimoniare è la fraternità: infatti come detto sopra li manda due a due: «Dove due o tre sono uniti nel mio nome io sono in mezzo a loro» (Mt 18).
L’amore di Dio, Dio medesimo è testimoniato, è reso presente, laddove si vive l’amore fraterno. Non c’è bisogno di parlare: non sono oratori di un messaggio orale, di un discorso, ma è la loro vita fraterna che ‘parla’, testimonia! Mandandoli due a due si ha la vittoria sulla solitudine: «Non è bene che l’uomo sia solo» (Gn 2, 18).
L’uomo da solo, sarà portato a dubitare perfino di se stesso.
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