Luca 10,13-16
In quel tempo, Gesù disse: «Guai a te, Corazìn, guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidòne fossero avvenuti i prodigi che avvennero in mezzo a voi, già da tempo, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. Ebbene, nel giudizio, Tiro e Sidòne saranno trattate meno duramente di voi. E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai! Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me, disprezza colui che mi ha mandato».
Betsàida, Corazìn, Cafàrnao erano ridenti cittadine che sorgevano intorno al mare di Galilea, dove Gesù aveva operato grandi miracoli, e dove aveva predicato per una buona parte del suo tempo.
Tutti abbiamo bisogno di conversione, tutti abbiamo bisogno di amare di più, di amare con tutto il cuore, di cercare di rispondere con amore pieno all’amore. Allora, il rimprovero di Dio ci fa bene, ci scuote e ci aiuta ad uscire dal torpore per impegnarci al servizio dei fratelli.
Cosa sono allora questi “guai” che il Vangelo di Matteo riporta?
Quello di Gesù è un “guai” profetico, una condanna senz’appello della falsità che governa mente, cuore, corpo dell’uomo. È una denuncia fatta in nome di Dio, per suo comando, volontà, desiderio, perché l’uomo possa convertirsi per entrare nella vita. In tal senso Gesù è vero profeta, più che Isaia e di ogni altro. Lui è la verità stessa.
Cerchiamo prima di tutto di capire cosa si intende con questa formula “guai”. Nel nostro modo di parlare, questa espressione – ad esempio “guai a te!” – suona come una minaccia, una possibilità di punizione: non è questo il senso della formula evangelica.
Sono delle formulazioni con cui Gesù mostra il proprio modo di vedere e cerca di comunicare una mentalità, uno stile di vita. Dunque, leggendo i “guai” non ci troviamo di fronte ad una serie di maledizioni, di scomuniche, di invettive lanciate da Gesù, ma ci troviamo di fronte a delle commiserazioni, a delle dichiarazioni di “povertà”, di non valore, di situazione negativa e squalificante.
L’annuncio della misericordia non può lasciare spazi di ambiguità, come purtroppo oggi avviene. L’autentica carità copre tutte le debolezze ma non collabora con la menzogna e non favorisce l’ombra del dubbio né alimenta la confusione.
Gesù ci insegna a non rimanere in silenzio quando la verità viene calpestata, quando i diritti di Dio e quelli dell’uomo vengono violati, quando la fede religiosa viene piegata agli interessi personali. In questi casi il silenzio diventa complicità: l’uomo di Dio deve gridare con voce forte la propria indignazione. Impariamo a non puntare il dito ma a batterci il petto, domandiamo perdono perché tante volte – troppe volte – invece di illuminare gli altri siamo stati per loro un ostacolo.
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