Vangelo del giorno: I maledetti che diventano Benedetti


Luca 14,12-14
In quel tempo, Gesù disse al capo dei farisei che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».

Siamo sempre stati abituati, fin da piccoli, che le cose soprattutto quelle importanti vadano conquistate e meritate. Per le cose di Dio no! «Tutto è pronto!». Tutto è già dato.
Tentazione di sempre: pensare di essere felici attraverso il ‘fare tante cose’, come una conquista, un premio.
Ma Dio non si lascia scoraggiare. L’amore è ostinato. Non si stanca di invitare alla vita, per poterla donare ai suoi figli, a coloro che sono in grado di ‘mollare la presa’, accettando di lasciarsi semplicemente raggiungere. Sì, perché la vita vera è solo dono ricevuto. Come tutte le cose fondamentali della vita che non si costruiscono e tanto meno si conquistano, ma si accolgono semplicemente: l’aria, il sole, l’amore.
Capiamo la follia del Vangelo? l’amore è dono e non ricompensa.
Luca va ancora oltre, e nella sua rilettura di questa parabola affermando che il re manda il servo a cercare quelli che una certa mentalità ha sempre ritenuto perduti e lontani da Dio: «conduci qui i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi». Storpi, ciechi e zoppi erano per il santo Israele la triade ‘maledetta’ esclusa dal Tempio di Gerusalemme, e quindi dalla comunione con Dio.
Adesso, con Gesù di Nazaret, son proprio loro, gli esclusi di sempre, i disgraziati, gli ultimi a diventare atti alle nozze con Dio! «Gli ultimi saranno i primi».
A questo banchetto, entrano tutti, indipendentemente che siano buoni o cattivi. Per entrare in comunione con Dio non è questione di morale, di essere buoni o cattivi. La questione è entrare, accogliere l’invito, accettare di essere abbracciati dal suo amore. Il cristianesimo non è la religione della morale, dei buoni – con la relativa esclusione dei cattivi – ma semplicemente affidamento (atto di fede) all’Amore che ci chiama a sé.
Affidarsi significa anche imparare ad attendere. Attesa del Regno, dimensione forse oggi in molti casi dimenticata, poiché siamo proiettati molto più sull’immediato, ma i vangeli ci ricordano che, se pure c’è un “già”, per il cristiano c’è anche un “non ancora”.
Attesa, dunque, che chiede discernimento e capacità di portare, gestire, vivere bene la nostra dimensione del desiderio. Sì, perché attendere è anche accettazione di un temporaneo vuoto, di una mancanza, accettazione del fatto che non possiamo essere colmati in tutto e subito nel nostro desiderio vitale, la cui piena realizzazione, che è anzitutto realizzazione di comunione, attendiamo.
Questo brano del vangelo ci dice che una relazione vera è sempre anche accettazione di un vuoto, di una solitudine, del fatto che l’amore vero è concepire e accogliere l’altro nella sua alterità e diversità, che, se da un lato mi arricchisce, dall’altro lascia sempre in me un vuoto non colmato, e dunque una solitudine.

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