Luca 11,29-32
In quel tempo, mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire: «Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona. Poiché, come Giona fu un segno per quelli di Nìnive, così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per questa generazione. Nel giorno del giudizio, la regina del Sud si alzerà contro gli uomini di questa generazione e li condannerà, perché ella venne dagli estremi confini della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Salomone. Nel giorno del giudizio, gli abitanti di Nìnive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona».
Gesù, ieri come oggi, cambia il modo di vedere la storia dell’uomo, la storia di ognuno di noi. E non lo fa con un discorso sapiente, ma con l’esempio della sua vita.
Ecco il segno che Gesù da a chi ne pretendeva uno da lui. Chi si accorge di un uomo che per tre giorni resta nel ventre di un pesce, come successe a Giona? Eppure, uscito dal pesce, converte da solo una città intera, Ninive.
In questo brano mi colpisce a fondo la solitudine di Gesù, il suo non essere compreso. Ed è proprio questo che salda il cielo e la terra. Pensiamo a tutti coloro che si richiudono in casa dopo un’esperienza di delusione, a coloro che non escono per vergogna o per timore degli altri, ritiro sociale, fobia sociale, agorafobia…succede un blocco dove la realtà diventa buia e angosciante proprio come il ventre della balena. C’è un nuovo fenomeno sociale giapponese che è arrivato anche in Europa: li chiamano hikikomori.
Il termine Hikikomori significa letteralmente “isolarsi”, “stare in disparte” e viene utilizzato per riferirsi ad adolescenti e giovani adulti che decidono di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi (da alcuni mesi fino a diversi anni), rinchiudendosi nella propria camera da letto, senza aver nessun tipo di contatto diretto con il mondo esterno.
A volte penso come abbia potuto Dio scendere in terra in un tempo così oscuro come quello, in una nazione sicuramente non al centro del mondo, senza uno straccio di strategia di comunicazione per un messaggio così importante?
Lui che è Dio, non poteva scegliersi un tempo e un luogo più idoneo, più visibile, doveva proprio nascere in una stalla, da povero, doveva necessariamente non scrivere niente, lasciare ad altri la stesura e l’interpretazione del suo messaggio, sapendo che molti l’avrebbero travisato, doveva per forza finire in croce?
E invece Gesù insiste, continua a dimostrare che la vita vera è da un’altra parte. Guardando l’atteggiamento dei sadducei e dei farisei, mi viene in mente una frase molto dura che madre Teresa disse tanto tempo fa: “Ognuno ragiona in base al marciume che ha dentro”.
“Chiedete a me un segno dal cielo? A me? “. Sa che neanche se fosse sceso dalla croce li avrebbe convinti ed è questo che a Lui preme.
La sua solitudine è profonda anche con gli apostoli, che gli vogliono bene, sì, ma che non capiscono. Lo lasciano solo, presi come sono dalle urgenze e dalle necessità della vita.
Ma ancora non ci accorgiamo che tutte le nostre urgenze trovano risoluzione nella forza della disponibilità e della condivisione del “nostro”….tempo, soldi, cose, pensieri…che non è il pane che manca a questo mondo, ma la nostra disponibilità a condividerlo.
Capire Gesù e seguirlo significa che l’altro divento io. E quando sbaglio, come vorrei essere trattato? E come vorrei essere capito, ascoltato, criticato, amato? Allora, se l’altro divento io, ecco la strada, quella che Gesù mostra da duemila anni alla sua Chiesa gerarchica e di popolo in cammino. La strada di Gesù è della piccolezza, della semplicità, della bontà. Della consapevolezza che non si può essere felici senza che lo siano anche gli altri. Gesù, ancora una volta, chiede a me e a ciascuno di noi, di avere fede, di alzare lo sguardo, di essere un piccolo pezzo di pane che tutti possano mangiare.
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