Salvini e la Beata Vergine Maria


Di Francesco Peloso su Lettera43
Vade retro anti-papa nero
Il Vaticano chiama a una nuova stagione di impegno i cattolici. Bergoglio vuole un rinnovato “patto dei liberi e forti” sulle tracce di quello sturziano che si opponga al clericalismo bigotto e caricaturale del capo della Lega.

Il vicepremier Matteo Salvini non sceglie i propri simboli per caso. Lo dimostra, da ultimo, il ringraziamento per l’approvazione del decreto sicurezza bis, alla beata Vergine con un esplicito riferimento alla Madonna di Medjugorie. Quest’ultimo è il santuario del sensazionalismo religioso, delle apparizioni ‘a scadenza oraria’ della Vergine, neanche fosse una stazione ferroviaria, sempre guardato con sospetto e diffidenza dalla Santa Sede.
Il vicepremier Matteo Salvini non sceglie i propri simboli per caso. Lo dimostra, da ultimo, il ringraziamento per l’approvazione del decreto sicurezza bis, alla beata Vergine con un esplicito riferimento alla Madonna di Medjugorie. Quest’ultimo è il santuario del sensazionalismo religioso, delle apparizioni ‘a scadenza oraria’ della Vergine, neanche fosse una stazione ferroviaria, sempre guardato con sospetto e diffidenza dalla Santa Sede.
Il vicepremier prova a diventare l’interprete e forse il leader di una fede ‘fai da te’
Salvini non può certo rifarsi ai Vangeli, sarebbe obiettivamente grottesco, non chiama in causa per le sue leggi il Cristo crocefisso e nemmeno quella Madonna che tiene in grembo il figlio morto dopo atroci sofferenze raffigurata mirabilmente nella Pietà di Michelangelo e tutt’oggi visibile nella basilica vaticana. Il vicepremier prova invece a diventare l’interprete e forse il leader di una fede ‘fai da te’, tutta concentrata in un fervorismo passivo e succube, fatto di suppliche e apparizioni telecomandate, distanti anni luce dall’evangelico «ero straniero, mi avete accolto». È la chiesa salviniana che va dalle spiagge di Milano Marittima dove le cubiste cantano l’inno di Mameli come fosse una hit dell’estate, al santuario mariano situato nei pressi di Mostar, in Bosnia.
Il vicepremier Matteo Salvini non sceglie i propri simboli per caso. Lo dimostra, da ultimo, il ringraziamento per l’approvazione del decreto sicurezza bis, alla beata Vergine con un esplicito riferimento alla Madonna di Medjugorie. Quest’ultimo è il santuario del sensazionalismo religioso, delle apparizioni ‘a scadenza oraria’ della Vergine, neanche fosse una stazione ferroviaria, sempre guardato con sospetto e diffidenza dalla Santa Sede.

Eppure Medjugorie è oggetto di un flusso costante di fedeli che invocano Grazie, che sperano nell’intercessione, in miracoli capaci di cambiare per incanto esistenze precipitate in qualche abisso; e alimenta così un business milionario che sembra in effetti prevalere su ogni altro aspetto.
Il vicepremier prova a diventare l’interprete e forse il leader di una fede ‘fai da te’
Salvini non può certo rifarsi ai Vangeli, sarebbe obiettivamente grottesco, non chiama in causa per le sue leggi il Cristo crocefisso e nemmeno quella Madonna che tiene in grembo il figlio morto dopo atroci sofferenze raffigurata mirabilmente nella Pietà di Michelangelo e tutt’oggi visibile nella basilica vaticana. Il vicepremier prova invece a diventare l’interprete e forse il leader di una fede ‘fai da te’, tutta concentrata in un fervorismo passivo e succube, fatto di suppliche e apparizioni telecomandate, distanti anni luce dall’evangelico «ero straniero, mi avete accolto». È la chiesa salviniana che va dalle spiagge di Milano Marittima dove le cubiste cantano l’inno di Mameli come fosse una hit dell’estate, al santuario mariano situato nei pressi di Mostar, in Bosnia.

SALVINI HA DATO VITA A UNA CONTRO-CHIESA
Salvini coltiva in tal modo la sua visione del conflitto totale che lo contrappone in questa stagione alla Chiesa di Roma e al magistero di papa Francesco, dà vita a una contro-chiesa in cui il clericalismo è fatto proprio dai capi politici, ed è bigotta, tradizionalista, un po’ caricaturale, ma popolare e diffusa; alimenta la sua leadership – fragile in economia, sul Mezzogiorno e finanche sul fisco – di simboli semplici e forti, riconoscibili almeno da una porzione del popolo credente che forse non frequenta tanto le parrocchie ma paga disciplinatamente la quota del viaggio della speranza per Medjugorie.

D’altro canto, se la Chiesa si è posta come unica vera opposizione intransigente all’operato di un Salvini – sul piano dei valori, delle culture, dell’idea di società, delle relazioni fra i popoli – il risultato è stato conseguente. Il capo della Lega ha fiutato che l’autorevolezza del pontefice poteva e può diventare un problema, e ha provato a comporre anche un discorso di tipo religioso, sia pure alla sua maniera. Né va dimenticato, questa volta nelle preoccupazioni vaticane, che Salvini, per così dire, non rappresenta solo sé stesso, la Lega o l’Italia, ma nelle azioni e parole del ministro dell’Interno è possibile rintracciare lo stesso spartito di Donald Trump, di Viktor Orban, di Jair Bolsonaro e così via. La sfida, insomma, è globale.

L’ATTACCO DELLA CEI: «I FALSI PROFETI CI SONO SEMPRE STATI»
È in questa prospettiva che la Chiesa, in Italia, sta cercando di chiamare a una nuova stagione di impegno, ormai consapevolmente diversa dal passato, ma non per questo meno necessaria. Per diversi degli uomini, delle donne, dei vescovi e dei sacerdoti più vicini al papa è urgente dare vita a un nuovo “patto dei liberi e forti” sulle tracce di quello sturziano ma aggiornato ai tempi.

I simboli religiosi valgono solo nel contesto di una fede vissuta, altrimenti sono una sterile ostentazioneGualtiero Bassetti, presidente della Cei
Nel giorno in cui il decreto sicurezza bis diventava legge, il presidente della Cei, Gualtiero Bassetti, rilasciava un’intervista al direttore dell’Osservatore romano, Andrea Monda, ultima di una serie dedicate, non a caso, al ruolo dei cattolici nella società italiana. «I falsi profeti», ha detto il cardinale, «ci sono sempre stati e sempre ci saranno. Questa è la condizione e la sfida del cristiano di ogni tempo. I simboli religiosi valgono solo nel contesto di una fede vissuta, altrimenti sono una sterile ostentazione». Ogni riferimento a fatti e persone reali è tutt’altro che casuale, evidentemente.
LA RIVOCAZIONE DI ALDO MORO COME FIGURA CHIAVE DEL DOPOGUERRA
In merito al modello cui i cristiani devono guardare per orientarsi nel mondo contemporaneo e impegnarsi contro giustizie e diseguaglianze, Bassetti ha risposto così: «In tutta franchezza basterebbero dei cristiani autentici: al tempo stesso miti e rivoluzionari. La mitezza perché richiama la fede e la sobrietà dei comportamenti. L’essere rivoluzionari perché significa andare contro lo spirito del mondo: egoistico, nichilistico, consumistico e xenofobo».

In questo stesso contesto il direttore dell’Osservatore romano, rievocava la personalità di Aldo Moro indicandola come «figura chiave» dell’Italia del Dopoguerra. Con lui venivano richiamati altri storici leader laici e religiosi: Alcide De Gasperi, Giorgio La Pira, e Paolo VI quale papa del Concilio Vaticano II e dell’enciclica Populorum progressio. Un pantheon non nuovo, ma che tuttavia definiva come maestri per il presente e il prossimo futuro alcune personalità cattoliche – di fatto escludendone altre – caratterizzate dalla rettitudine etica, dal coraggio delle scelte, dalle visioni lunghe che oltrepassavano gli interessi di parte.  Fra l’altro si accettava, finalmente, di scegliere una parte della coprosa eredità democratico cristiana ricevuta in dote.
LA CHIESA SENTE MINATE LE BASI DEL POPOLARISMO CATTOLICO
Ancora più politico, nel merito del dibattito di questi giorni, l’intervento di una realtà di frontiere come il Centro Astalli ( sezione italiana del Jesuit refugees service), l’organismo dei gesuiti che si occupa di accogliere in particolare rifugiati, profughi, richiedenti asilo, ovvero la componente più debole e indifesa dei flussi migratori. Per il presidente del Centro, padre Camillo Ripamonti, «con l’approvazione del decreto sicurezza bis si scrive una pagina buia della storia democratica dell’Italia». 
La preoccupazione più profonda e drammatica è che la Carta costituzionale stia andando in pezzi
«Mentre paura e odio vengono profusi ad arte per alimentare distrazione e indifferenza di massa», ha spiegato il gesuita, «si colpisce con stupefacente semplicità il cuore della nostra Costituzione, della nostra storia, dei nostri principi di civiltà. Convenzioni internazionali e diritti umani calpestati con norme demagogiche contro la solidarietà». Parole non solo estremamente dure e severe per essere pronunciate da un organismo umanitario, ma che indicano anche una preoccupazione più profonda e drammatica: ovvero che la stessa Carta costituzionale stia andando in pezzi in questa calda estate italiana, e con essa un pezzo fondamentale del popolarismo cattolico, della storia politica che ha costruito l’Italia moderna.

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