E.T. l’extra-terrestre parla al nostro io infantile. Ci obbliga a tornare nella dimensione spensierata e leggera, ci riconduce alla necessità di credere: che la magia esista, che la fratellanza sia la principale risorsa del genere umano, che l’uguaglianza sia uno stato applicabile a qualsiasi persona e cosa. Chi tuttora non si emoziona e non si appassiona seguendo le giocose evoluzioni del lungometraggio e volando libero sulle note di John Williams, aldilà dell’età, semplicemente dà ragione alla considerazione di Pablo Neruda che scrisse: Il bimbo che non gioca non è più un bimbo, ma l’uomo che non gioca più ha perso per sempre il bimbo che era.
Tenerezza è avere un cuore ‘di carne’ e non ‘di pietra’, come dice la Bibbia (cfr Ez 36,26). La tenerezza è anche poesia: è ‘sentire’ le cose e gli avvenimenti, non trattarli come meri oggetti, solo per usarli, perché servono… (…) Gesù invita i suoi discepoli a ‘diventare come i bambini’, perché ‘a chi è come loro appartiene il Regno di Dio’ (cfr Mt 18,3; Mc 10,14)” (Francesco, Udienza, 18 marzo 2015). Spielberg attraverso “E.T.” ci invita a non aver paura dell’altro, ad andare incontro a chi arriva come a un fratello. Le lacrime di Elliott, il bacio della piccola Gertie all’extra-terrestre sono momenti che non si dimenticano, che parlano di noi esseri umani, di uomini e donne, della bellezza dell’universo e del Creato. Con “E.T.” Spielberg ha cominciato a lasciare le sue indelebili impronte nella storia del cinema.

Nessun commento