Sulle tracce di don Lorenzo Milani con don Ciotti e i suoi allievi


“Don Lorenzo sarebbe entusiasta di Papa Francesco che nei suoi primi interventi ha invitato tutti noi ad andare verso le periferie e credo che da lassù si sia sentito un pó sconvolto vedendo un papa venire sulla sua tomba a pregare”. Si apre così con questa riflessione di don Ciotti, la puntata del programma A sua immagine “sulle tracce di don Lorenzo Milani”. Nel chiostro della chiesa di San Donato, dopo 3 mesi dalla sua ordinazione don Lorenzo Milani venne inviato come coadiutore a San Donato di Calenzano, vicino Firenze, di don Daniele Puci. Don Lorenzo dirà di questo parroco che è “buono come il pane”. Qui don Lorenzo realizzò una scuola scuola con il fine non di selezionare quanto di far arrivare, tramite un insegnamento personalizzato, tutti gli alunni a un livello minimo d’istruzione garantendo l’eguaglianza con la rimozione di quelle differenze che derivano da senso e condizione sociale.
La sua scuola era alloggiata in un paio di stanze della canonica annessa alla piccola chiesa di Barbiana, un paese con un nucleo di poche case intorno alla chiesa e molti casolari e con il bel tempo si faceva scuola all’aperto sotto il pergolato. La scuola di Barbiana era un vero e proprio collettivo dove si lavorava tutti insieme e la regola principale era che chi sapeva di più aiutava e sosteneva chi sapeva di meno, 365 giorni all’anno.
“Ci cercava casa per casa per invitarci ad andare a scuola ma…lo sapeva benissimo che noi si andava a lavorare a Prato” commenta, emozionato, Enzo Brunetta, ex allievo di don Milani. “E che era un lavoro duro e non si poteva andare a scuola”. Aveva 11 anni all’epoca Enzo, faceva turni come tessitore, anche di notte e frequentava la scuola di sera. “Le cose che ci insegnava don Milani non erano solo per farci frequentare la chiesa ma per farci apprendere degli ideali affinché fossimo coerenti con i principi che professavamo” continua Mário Rosi, un altro ex allievo della scuola di Barbiana. Don Ciotti poi indica il pozzo dove una sera don Milani gettó gli attrezzi della scherma e altri giochi che erano serviti all’inizio per aggregare e che non potevano essere il fine di quella scuola. “Qui si viene per studiare, chi vuole giocare vada molto lontano da qui” aveva tuonato in quella occasione don Lorenzo, racconta Maresco Bellini. Una decisone che non prese da solo ma ci fece votare”. Don Alfredo, l’attuale parroco, poi sottolinea l’evento della visita di Papa Francesco, vicino ai poveri e gli emarginati. “Don Milani è stato un profeta della chiesa in uscita, ha anticipato la chiesa delle periferie che Papa Francesco con forza sottolinea” commenta don Alfredo. Segue intanto un filmato inedito di Angelo D’Alessandro, un altro ex allievo al quale don Lorenzo permise di realizzare forse per lasciare una traccia del suo insegnamento quando la malattia lo aveva segnato nella carne. Fu don Milani ad adottare il motto inglese “I care”, letteralmente mi importa, mi interessa, ho a cuore (in dichiarata contrapposizione al “Me ne frego” fascista), che sarà in seguito fatto proprio da numerose organizzazioni religiose e politiche. Questa frase scritta su un cartello all’ingresso riassumeva le finalità educative di una scuola orientata alla presa di coscienza civile e sociale.
“Don Lorenzo non è stato solo un prete per i poveri ma ha vissuto con loro e dagli ultimi ha costruito questo percorso educativo” continua don Ciotti. La scuola è stata l’anima del suo ministero. “Voleva che ragionassimo con la nostra testa, che avessimo senso critico per le cose che ci capitavano intorno, che avessimo anche la capacità di portare il nostro contributo per rendere migliore la nostra società perché L’ignoranza è fonte di ingiustizia” aggiunge Giovanni Bellini. A don Milani i suoi ex allievi riconoscono anche l’apertura delle porte delle “stanze segrete” della canonica dov’è potevano entrare tutti, cosa insolita ancora oggi considerato il tenore misterioso di tanti prelati. Nella Santa messa don Lorenzo usava un linguaggio molto diretto a volte molto tagliente. Diceva: il Vangelo non è accomodante, è urtante. Aiutava a leggere la Parola di Dio ma anche a cercare la capacità di leggere i giornali per saper leggere la vita. È arrivato perfino a leggere i contratti di lavoro e quanto fosse importante il diritto di sciopero. Commentando poi il Vangelo di domenica, don Ciotti paragona don Milani all’uomo che ha costruito la casa sulla roccia. La roccia è la Parola di Dio.
In definitiva, Barbiana era molto più di una scuola, era un vivere in comune. Non può esistere un “don Milani in pillole”, citato a seconda di circostanze e convenienze, così come il famoso passo dell’obbedienza che non è più una virtù, non deve essere interpretato come un generico invito alla ribellione, ma come un’esortazione a seguire la voce della propria coscienza, che non è mai accomodante, che sempre ci chiama a quelle responsabilità che proprio il conformismo e l’obbedienza acritica permettono di eludere. Essere consapevoli significa essere responsabili, significa mettere la nostra libertà al servizio di chi libero non è. È di questa libertà che don Milani è stato maestro. A noi spetta il compito di esserne, almeno, testimoni credibili.

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