Il carissimo don Michele non posta quasi mai su Fb ma quando lo fa tuona. “È strano, molto strano che molti fuoriusciti del PD adesso fanno i maestri del PD”. Dopo il tentativo eroico (dal mio blog: “avanti popolo”) di salvare la sinistra col voto utile al PD nelle elezioni del 4 marzo, dopo la caccia e la cacciata del presunto autore della distruzione della sinistra, (Matteo Renzi, dal palco della festa di Repubblica a Genova, bollò il reddito di Dignità promosso da Miseria Ladra come «incostituzionale». Non solo. «La cosa meno di sinistra che esista»).
Dopo le riflessioni sulle cause della sconfitta…dopo tutto abbiamo il dovere morale di riconoscere che altri, M5S appunto, hanno saputo intercettare un bisogno ormai urlato da decenni da don Ciotti e quindi da Libera e Gruppo Abele con le campagne sociali come “MISERIA LADRA” e “NUMERI PARI”. Da chi per le strade la politica la fa, facendo: dai movimenti di lotta per la casa alle parrocchie, dai centri sociali alle cooperative, dagli studenti ai sindacati, dagli operatori dei centri anti-violenza agli artisti. Denominatore comune: sapere ciò che accade realmente alle persone, conoscerne le storie, esperirle quotidianamente. Avere la periferia sempre addosso, viverci, perché sono i nodi più fragili quelli da cui è necessario partire. (Don Ciotti).
Era il 2012 quando la prima campagna prese piede per introdurre una proposta, seppur iniziale, di reddito garantito. Tutto parte da un principio: quello per il quale nessun essere umano deve “scivolare” sotto una certa soglia economica.
Fu, poi, il gennaio 2015 quando, ai cronisti accorsi sotto la sede di Libera, Beppe Grillo sottolineò l’importanza, urgente, di una misura di contrasto alle povertà. E Luigi Ciotti urló il «diritto all’esistenza di milioni di persone a rischio esclusione sociale». A quel tavolo non c’era solo la proposta del M5s: Sel, oggi Sinistra Italiana, e il Pd si dicevano pronti a cercare una mediazione. Forse molti non sanno che quella mediazione fu trovata grazie al lavoro della campagna «Miseria Ladra», promossa dal Gruppo Abele e da Libera: «100 giorni per un reddito di dignità». Furono raccolte in pochissimo tempo 100mila firme. Da quella mediazione i 40 parlamentari di centrosinistra si dileguarono, lasciando il M5s a predicare nel deserto politico, che tornò così sulla proprie posizioni: una proposta di workfare. Più un ammortizzatore sociale che una forma di welfare diffuso, orizzontale, individuale. Un triste gioco dell’oca sulla pelle degli ultimi.
Nella campagna si chiedeva l’impegno, ad personam, a diversi parlamentari a partire dalla loro firma come sostegno a questa piattaforma che aveva l’intenzione di mettere insieme le diverse proposte in campo e unire le forze politiche e parlamentari intorno a una sola proposta. Una sorta di larga intesa per il diritto al reddito. Un percorso che non poteva finire con un semplice dietrofront delle forze politiche in campo. Da qui la nascita della Rete dei Numeri Pari, che oggi conta più di 400 realtà sparse in tutta Italia. Tre anni dopo quell’incontro, due anni e mezzo dopo quella campagna, un anno dopo la nascita della Rete, finalmente il tema del reddito è al centro del dibattito politico.
Il 14 ottobre 2017 c’ero anch’io a piazza don Bosco, tristemente famosa per i funerali di Casamonica e giustamente conosciuta perché da cinque anni vi è attiva una tenda contro la crisi che offre pasti e generi di prima necessità tutte le settimane. In quella piazza per la manifestazione ADALTAVOCE con i Numeri Pari contro povertà e disuguaglianze, mentre la politica era più intenta a ricercare voti invece di cercare persone, noi eravamo lì. La grande trovata del M5S è stata proprio questa. Ha calato il pocker al momento giusto. Proprio quando il popolo italiano era stremato dalla fame, soprattutto al sud.
Ora è facile ridere della notizia delle file ai Caf, al Sud, per chiedere i moduli per il «reddito di cittadinanza» del M5s.
Ora è facile dire di un «popolo imbecille» che si sarebbe fatto convincere dall’assistenzialismo del M5s.
Ora un terzo del Paese – tra chi è in povertà assoluta, relativa e a rischio esclusione sociale sta gridando aiuto, intrappolato all’interno di un modello economico che per auto-alimentarsi genera diseguaglianze e disoccupazione.
Ora la domanda da intercettare, cara sinistra italiana, è questa: le persone che vivono in povertà hanno diritto a esistere oppure no? Se la risposta è si, e quindi vogliamo riconoscere e garantire lo «ius existentiae», il diritto ad esistere per ogni essere umano, dobbiamo obbligatoriamente pensare a forme di welfare universali, e non selettive come hanno fatto i governi negli ultimi anni; allo stesso tempo diventa indispensabile come avvenuto in tutta Europa introdurre anche nel nostro paese un reddito minimo garantito, e non piccole forme di sostegno che nascondono in realtà lo sfruttamento della condizione di povertà.
Ora, se è vero che è stata solo una promessa elettorale per “acchiappare” voti, di fatto la questione del reddito come strumento di contrasto alle povertà e alle paure che queste generano, è finalmente al centro del dibattito ed ha aperta una crepa. E allora, su questa crepa si potrà e si dovrà costruire una nuova iniziativa politica, cercando alleanze a sinistra, rafforzando la consapevolezza sulle cause della crisi e sulle proposte da mettere in campo. A partire dai dieci punti che definiscono i principi irrinunciabili dei regimi di reddito minimo garantito stabiliti sin dal 1992 dal Parlamento Europeo e dalla Commissione UE.
Ora è meglio che la sinistra taccia, e riprovi a ripartire da qui.
Fonti: Riflessioni personali sulla base di dati e fatti storici e dal comunicato stampa del Coordinamento della Rete dei Numeri Pari
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