Quante cose sono cambiate negli ultimi trent’anni. In quest’ultimo anno ho riscoperto il sapore della noia e di quanto questo “tempo inutile” mi abbia scaricato adrenalina e creatività. In sostanza, annoiarsi fa bene ma nelle controindicazioni aggiungo che può nuocere gravemente alla salute per chi non si è mai annoiato. Vi spiego perché. Viviamo in un mondo compulsivo, senza più sapere aspettare, rinunciando forzatamente al tempo necessario per pensare, a volte troppo distratti per ascoltare e interpretare correttamente le sensazioni che i figli ci trasmettono. Forse le loro «abbuffate» di droga nascono da qui, dalla nostra crescente difficoltà a rallentare i ritmi e stare da soli, magari per annoiarsi. Un atteggiamento necessario e privilegiato per un bambino che percepisce per la prima volta la realtà e la scopre. Pensiamo, allora, al danno, inconsapevolmente, che facciamo ai nostri figli quando li abbuffiamo di qualsiasi cosa. Questo vale per il cibo, per lo studio, per lo sport…soprattutto quando questi aspetti della vita diventano solo una fonte di ansia e non un’occasione di divertimento. Riempire la vita dei figli di cose da fare non li aiuta a crescere, ma li abitua a non pensare, rendendoli sempre meno tolleranti alle frustrazioni e facendo loro dimenticare che il desiderio autentico nasce dalla mancanza, dal vuoto, che stimolano un cammino positivo di ricerca e di conquista. Attendere significa, «volgere l’animo a qualcosa».
Quando siamo nati, eravamo completamente dipendenti ed è per questo che chiunque ha bisogno di sane dipendenze per vivere. Gli adolescenti, in particolare, sono chiamati a raggiungere l’autonomia attraverso la sperimentazione di dipendenze che non conoscevano, diverse dall’importanza centrale avuta fino a quel momento dal ruolo dei genitori. Tutti del resto siamo dipendenti da qualcuno, o da qualcosa e per questo, specialmente con gli adolescenti, secondo alcuni esperti come Federico Tonioni, non dobbiamo considerare a priori la dipendenza un segno di fragilità o ancor peggio una malattia.
Allora si po’ provare a smettere come provare a continuare. Assumere droga per la prima volta è per alcuni un debutto in società, per altri è un’esperienza che si interrompe subito e a cui non segue una seconda volta, per altri ancora diventerà un problema. Non mi sento migliore di un drogato, semplicemente mi sento più fortunato. Oggi ho deciso di stare con loro perché, per uno strano caso del destino, la prima volta, a me, la droga non è piaciuta.
Iniziamo subito a chiarire che non esistono droghe leggere o pesanti tenendo conto che gli effetti sono diversi da soggetto a soggetto, ma ciò che conta è invece distinguere tra uso saltuario e consumo abituale, perché il passaggio dalla curiosità alla tossicodipendenza non è mai legato alla potenza degli effetti quanto piuttosto all’importanza che i ragazzi danno a questa nuova esperienza.
Parleremo dello spinello, di cui un giovane su quattro ne fa uso di tanto in tanto, ponendoci queste domande: che cos’è? Quanto fa male? Perché alcuni sono potenziati? Perché i ragazzi ne fanno uso? E i genitori?
Ancor più pericoloso è l’alcol, perché non è tanto una sostanza illegale ma un fenomeno diffuso che ha radici profonde nella nostra cultura. Un fenomeno a cui noi adulti per primi concediamo uno spazio privilegiato attraverso la cultura del bere, fatta di pranzi, cene, aperitivi, pubblicità e regole che raramente vengono rispettate. Basterebbe ricordare quante volte viene trasgredito il divieto di vendere alcolici a ragazzi che hanno meno di diciotto anni. E come, ultimamente, ha reagito la movida torinese ai controlli della polizia dopo i fatti di piazza San Carlo.
Parlando di cocaina affronteremo un problema diverso ma altrettanto diffuso, e consentitemi anche qui, «culturale», perché spesso si ha un atteggiamento indulgente associato di solito a un’idea di divertimento sfrenato, da concedersi ogni tanto, senza il rischio di diventare dipendenti. E’ così che la vivono molti adulti ed è così che la percepiscono altrttanti adolescenti, con la differenza che quando si è giovani è più facile che i pensieri ossessivi provocati dalla cocaina diventino pensieri deliranti. E se è vero che la cocaina non dà un’evidente dipendenza fisica, è anche vero che rispetto ad altre droghe può portare più velocemente alla follia.
Nonostante se ne parli di meno, a detta di un esperto come Don Luigi Ciotti, l’eroina, «è tornata, non l’abbiamo mai sconfitta». Poco a poco l’eroina ha fatto di nuovo capolino, sniffata o fumata, allo scopo di compensare gli stati di angoscia, agitazione e persino paranoia che emergono quando scema l’effetto degli stimolanti. Tuttavia successivamente il ricorso all’eroina è diventato per molti non più solo un rimedio ma un consumo a se stante, il che ha reintrodotto le vecchie e più pericolose modalità di assunzione come quella endovena. E’ una specie di «bacio della buona notte», che continua a rappresentare il rischio più grande, forse l’unica sostanza che non si riesce a dimenticare mai del tutto.
Arriviamo poi alle droghe sintentiche, considerate «nuove droghe» perché hanno caratteristiche peculiari, non tanto per gli effetti quanto piuttosto per il profilo di personalità dei ragazzi che ne fanno uso. MDMA o Ecstasy e KETAMINA. Nomi che non dicono niente, non ci suscitano ricordi perché ci manca un elemento culturale di riferimento che sono i RAVE e alla musica tipica di queste occasioni. Non sono semplici allucinogeni, ma un modo diverso di concepire il divertimento, la musica, il ballo e lo stare insieme.
Esistono poi le sostanze naturali, di cui poco si parla, ma di cui i ragazzi fanno uso sporadicamente, spinti da una curiosità pericolosa: la SALVIA DIVINORUM, il kratom, e i funghi allucinogeni.
E poi come da un mondo sommerso avanzano sempre più con prepotenza le nuove dipendenze: Gioco d’azzardo patologico (GAP), Disturbi dell’alimentazione (Anoressia, Bulimia…), Psicopatologia web mediata, game online, cyberbullismo, ritiro sociale, shopping compulsivo, e tante altre forme di dipendenza in divenire.
Condivido, infine, una metafora molto suggestiva che ci aiuta a capire il mondo delle dipendenze, che sono descritte come sirene, cercando di definirle come una «malattia della libertà».
È un’immagine dei primi del Novecento, di Herbert James Draper, in cui Ulisse lotta contro il desiderio di perdersi nelle braccia delle sirene, che si arrampicano sulla nave perdendo la parte della coda una volta allontanatesi dall’acqua, mentre i marinai, salvi dal canto, si sforzano di allontanarsi e scappare. Un immagine legata alla mia adolescenza, quando studiando per la prima volta l’Odissea restavo affascinato dall’eroe e dalla suggestione di questo racconto, forse perché ero alla ricerca della libertà; oggi rappresenta anche un’immagine nostalgica del mare della Penisola sorrentina.
Le sirene diventano la forza della seduzione a cui l’uomo non è capace di resistere, una seduzione che non è solo sensuale, ma anche intellettuale, che porta a cercare di superare i limiti della conoscenza, a provare ogni cosa che sia nuova, andando anche incontro a rischi. In questo caso il condottiero è salvato dai compagni, che lo tengono nonostante lui faccia di tutto per liberarsi e cadere in un incanto che sembra dolcissimo, ma anche dalla sua prudenza, perché si fa legare prima di affrontare l’impresa. A voi ogni libera interpretazione.
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