Matteo 17,22-27
In quel tempo, mentre si trovavano insieme in Galilea, Gesù disse ai suoi discepoli: «Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno, ma il terzo giorno risorgerà». Ed essi furono molto rattristati. Quando furono giunti a Cafàrnao, quelli che riscuotevano la tassa per il tempio si avvicinarono a Pietro e gli dissero: «Il vostro maestro non paga la tassa?». Rispose: «Sì». Mentre entrava in casa, Gesù lo prevenne dicendo: «Che cosa ti pare, Simone? I re della terra da chi riscuotono le tasse e i tributi? Dai propri figli o dagli estranei?». Rispose: «Dagli estranei». E Gesù replicò: «Quindi i figli sono liberi. Ma, per evitare di scandalizzarli, va’ al mare, getta l’amo e prendi il primo pesce che viene su, aprigli la bocca e vi troverai una moneta d’argento. Prendila e consegnala loro per me e per te».
Sono quasi duemila anni che alcune parole dell’apostolo Paolo rivolte ai cristiani di Roma risuonano con forza per tutti i discepoli di Gesù Cristo: “Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi il tributo, il tributo; a chi le tasse le tasse; a chi il timore il timore; a chi il rispetto il rispetto”. Parole che, accostate a quelle che gli evangelisti mettono in bocca a Gesù stesso – “Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” – dovrebbero orientare il comportamento dei cristiani verso le autorità civili, in particolare per quanto riguarda il contributo economico da versare per la gestione della cosa pubblica e per i beni comuni che lo Stato garantisce.
Che le nostre tasse vengano spese in maniera efficiente è forse chiedere troppo?
Spesso giustifichiamo le nostre disonestà pensando che c’è chi è peggio di noi e non ci accorgiamo di alimentare un sistema sempre più illegale.
Molte persone provano un senso di disagio nel dover richiedere una ricevuta o uno scontrino a fronte di un pagamento regolarmente effettuato.
Secondo il rapporto sull’Iva in Europa realizzato da Price Waterhouse Coopers e riportato qualche anno fa sul Sole 24 ore, l’Italia è tra i Paesi dell’Ue a 27 con un tasso di evasione tra i più elevati, con oltre 28 miliardi e 888 milioni di euro sottratti al fisco.
Noi italiani siamo persone con molta inventiva, abili nell’arte di “arrangiarsi”, ma allo stesso tempo prevale fra i più un forte individualismo e un’incapacità di fare squadra. Lo vediamo nel nostro sistema politico: una miriade di partiti e partitini in perenne “tutti contro tutti”. Lo vediamo ogniqualvolta si cerchi di intraprendere un’azione di pubblica utilità, come le liberalizzazioni, e subito da mille fronti si levano resistenze e proteste. Insomma, sembra che la difesa del proprio “feudo” privato valga sempre più del bene comune, poco importa se intanto la barca affonda. Chi evade le tasse percepisce solo l’accrescimento del proprio benessere individuale (più soldi in tasca), e del proprio ego (perché ci piace considerarci più furbi degli altri), mentre non è assolutamente preso in considerazione il danno arrecato alla collettività, che comprende anche l’evasore stesso.
Questo smarrimento del senso di appartenenza – il Comune non è più “comune” a nessuno, lo Stato non siamo noi, l’Europa è un mostro estraneo, l’umanità è un’entità vaga cui non appartengo – porta a una regressione verso la tribù, il clan, il legame di sangue (non a caso ancora oggi unico criterio per la cittadinanza in Italia), dove l’essere insieme è conseguenza di un dato biologico o di un condizionamento sociale e non di una libera scelta di persone libere che condividono fatiche e speranze, ideali e difficoltà, cultura e visioni del mondo, senso della giustizia e dell’equità, panorami e patrimoni artistici. È una tentazione presente anche tra i cristiani: ritenere che il corpo ecclesiale sia formato solo da chi ha gusti spirituali e orientamenti teologici simili ai nostri. Escludere dal nostro orizzonte nuovi compagni di cammino per non dover spartire con loro i nostri beni; sfruttare le risorse di tutti per il profitto di pochi; negare il futuro alle nuove generazioni per soddisfare ogni nostro capriccio… sono mali che attraversano le nostre comunità, civili e religiose.
Mi piace ricordare un proverbio orientale che dice che è impossibile aiutare il mondo intero, ma se aiuti chi sta alla tua destra e chi sta alla tua sinistra, per continuità avrai aiutato il tutto il mondo.
Le tasse sono un antidoto a questa deriva, sono la possibilità che mi è offerta di donare puntualmente ed equamente qualcosa della mia ricchezza perché possa crescere il bene comune, attraverso servizi, infrastrutture, strumenti educativi, opportunità sanitarie, condivisione allargata ad altri paesi e popoli. Ormai vent’anni fa un prezioso documento della CEI – “Educare alla legalità”, troppo velocemente dimenticato – analizzava con acutezza questa problematica e così concludeva: “nel costruire una società sempre più autenticamente umana e più vicina al regno di Dio… i cristiani siano esemplari proprio come ‘cittadini’, sempre ricordando il monito del Concilio: “sacro sia per tutti includere tra i doveri principali dell’uomo moderno, e osservare, gli obblighi sociali”. Anche pagando le tasse.
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