Discorso integrale di Luigi Ciotti alla XXVI giornata della Memoria e dell’impegno per le vittime della lotta alle mafie


20 marzo 2021 Auditorium della Musica Roma 

26^ Giornata della Memoria e dell’impegno per le vittime della lotta alle mafie

Buon giorno a tutti

Credo che sia chiaro a tutti, a tutti, che siamo non perché ce lo chiede il calendario, ma perché siamo convocati dalla nostra coscienza. 

È la nostra coscienza che ci ha convocato.

Il desiderio di essere accanto a quanti si ribellano al male, alla violenza criminale, a quella violenza economica, alle dittature, alla corruzione, alle ingiustizie, alla povertà.

Per trovare insieme la forza di ribellarsi. Siamo consapevoli che i nostri impegni non reggono più l’urto del tempo. Sono insufficienti, dobbiamo trovare di più risposte comuni, che ci permettono di reagire, e sanare le mancanze e i ritardi che abbiamo toccato con mano, soprattutto in questi ultimi tempi.

Mettiamo mano alle nostre radici, amici, perché abbiamo bisogno di non perdere la nostra anima. 

C’è bisogno oggi di uno scatto in più. 

Dobbiamo inondare tutte le nostre realtà di segni di fiducia e di speranza nel futuro, e ci vuole più impegno nel presente. 

Dobbiamo gridare il bisogno del lavoro, della scuola, della cultura, della giustizia sociale.

Abbiamo bisogno di fatti e concretezza, per dare libertà e dignità a tutte le persone. 

Noi siamo qui, ma in questo momento in tantissimi in tantissimi luoghi d’Italia sono stati letti in contemporanea questi nomi.

Noi siamo qui a Roma dall’Auditorium del parco della musica, ma a Roma in questo stesso momento, a piazza dei Sanniti, proprio davanti all’ex cinema Palazzo, dove si faceva cultura per il territorio e mutualismo per i più poveri, ci sono radunati 57 realtà, piccolo gruppo per rappresentare movimenti e associazioni, che insieme si sono assunti e si assumono questa responsabilità.

Vorrei ricordare qui oggi Ilaria Alpi e Mirian Hrovatin.

Vorrei ricordare, a dieci anni dalla sua morte, Roberto Morrione che ci ha dato concretamente una mano negli anni, a costruire nella comunicazione i nostri percorsi. 

Non possiamo dimenticare che ieri abbiamo ricordato don Peppe Diana, che inviata la sua gente nella sua parrocchia di Casal di Principe, a risalire sui tetti per annunciare parole di vita. Lo hanno ucciso alle 7.30 di mattina, in sacrestia mentre si apprestava a celebrare la Messa, quasi per dire che la Chiesa deve stare in sacrestia. E invece noi dobbiamo stare li, in mezzo alla gente e diventare sempre più capaci di saldare la terra, quel bisogno di giustizia di quaggiù con il cielo.

Non possiamo dimenticare che quest’anno, la sua mamma Iolanda, di don Peppe se ne è andata, come il suo papà.

Ma anche vogliamo ricordare Valerio Taglione, che è stato un grande protagonista in quella terra di Libera e del comitato don Peppe Diana. 

E ricordare con lui un altro amico di Libera Davide Saluzzo, che se ne è andato. Tre familiari a cui sono stati strappati dai loro cuori, gli affetti, sono andati quest’anno in una vita nuova: Peppe Tagliatela, Piera Tramuta, Pierino Capolicchio.

Ma questa è la settimana contro il razzismo, e anche noi siamo testimoni dell’intolleranza della provocazione del razzismo. Contro gli immigrati, della violenza quotidiana contro i minori, le donne, gli zingari. 

Anche noi siamo testimoni dei tanti pregiudizi nei confronti del popolo della strada, della diversità.

Anche noi siamo testimoni di quegli attivisti difensori dell’ambiente. Nell’ultimo rapporti di pochi mesi fa, 212 omicidi 64 in Colombia, Asia e Africa, sono uomini e donne che difendono i diritti della terra, il 40% di loro sono indigeni, i nativi della foresta-

Ecco noi siamo testimoni di tutto questo, e come il 18 marzo anche noi con il pensiero e la preghiera siamo stati presenti nella giornata per le vittime del Corona visrus, e per esprimere ancora una volta la gratitudine per quanti generosamente si sono impegnati. 

Non possiamo anche non alzare la voce per la liberazione di Patrik Zachi, e anche noi per la verità su Giulio Regeni e Mario Pacciolla volontario in Colombia.

Ecco amici, noi vogliamo essere presenti, nel ricordo delle vittime, ma anche per difendere la libertà e la dignità di tutti. Saldare questa dimensione della vita che deve abbracciarci veramente tutti.

Ma c’è un aspetto di fronte al quale dobbiamo alzare tutti la voce, perché è cresciuto il pericolo, strisciante, che ci porta ancora di più ad alzare la voce nei fatti, facendolo, nelle azioni, nell’assunzione della responsabilità e dell’impegno. 

Il pericolo strisciante che è emerso da tutte le inchieste che abbiamo voluto fare in modo puntuale, che è quello della normalizzazione. Non è possibile, normalizzazione di mali e problemi che non sono stati mai combattuti davvero. Nonostante l’ammirevole impegno e il sacrificio di tanti.

Normalizzazione. La sofferenza indicibile, ad esempio, dietro la droga mercificata. 

Chi parla oggi più di droga? 

Chi ne parla, in modo forte, del gioco d’azzardo, delle agromafie, delle ecomafie, del riciclaggio del denaro.

La droga, colpisce un gran numero di persone, e assicura alle mafie profitti sempre più enormi. Sulle droghe è stato steso un ipocrito velo di silenzio, l’universo droga è uno dei business principali dei mercati criminali.

Ou, dobbiamo guardare alla sorgente di questa catastrofe non alla foce. 

Manca il coraggio di ammettere il fallimento della guerra alla droga.

E allora c’è una normalizzazione. Noi siamo qui per far in modo che questo non avvenga. Non possono questi essere problemi come tutti gli altri. Toccano la vita delle persone. 

Ma diciamo con chiarezza una cosa: sono oltre 220 miliardi all’anno la stima del volume d’affari delle mafie, in tutte le loro espressioni. Esattamente il valore del corona virus, che però è una tantum, di cui tutti parlano, discutono, spartiscono, è sulla bocca di tutti. Questa una tantum per rispondere alla tragedia del corona virus e alle sue gravissime ricadute. 

Però amici, dobbiamo fare di più per sottrarre questi guadagni, questa stima impressionante del volume d’affare delle mafie in tutte le sue componenti e derivati.  È una cifra impressionante. Dobbiamo sottrarla. Stima e riconoscenza a quanti sono fortemente impegnati, ma anche qui ci vuole uno scatto in più. La lotta alle mafie e alla corruzione, richiede adeguate misure giuridiche e repressive, ma perché siano incisive è necessario un grande impegno culturale, educativo, sociale. La lotta alle mafie, alla corruzione non è questione solo delegata agli addetti ai lavori, a cui la stima, riconoscenza. Come se fosse un settore specifico della vita pubblica: occupatene voi. Magistrati, forze di polizia, prefetture, alcuni segmenti fondamentali delle istituzioni.

La repressione deve arrivare alla fine di un percorso.

È dunque necessario allargare a tutti la partecipazione, perché riguarda tutti.

Occorre, quindi, un pensiero nuovo, radicale, rigeneratore. 

Amici, se non ci rigeneriamo come persone ma anche come gruppi, movimenti, se non ci rigeneriamo, degeneriamo.

Non dobbiamo fermarci a specialismi necessari, a sapere di settori fondamentali. Occorre  un più vasto meticciato, un meticcio di sapere, un sapere che attraversi e abbracci i diversi ambiti della vita. 

Ecco perché a ricordare e riveder le stelle, lo slogan scelto quest’anno per la 26 giornata è si un richiamo a Dante, un ricordo inteso come memoria del cuore, ma anche al desiderio come slancio, verso l’altro, l’oltre, l’altrove,

La parola desiderio, voi lo sapete bene deriva dal latino, stelle, desiderio significa letteralmente mancanza di stelle. 

Noi abbiamo bisogno di stelle, fame di luci che ci guidino nel cammino, a volte faticoso, della vita. 

Abbiamo bisogno di luci, della conoscenza, della verità, della giustizia. Luci di libertà di dignità per tutti.

Stelle ecco perché la cultura, tutte le arti, teatro, cinema, danza, musica, ecco perché lo sport perché anche lo sport è cultura. Perché l’arte è estetica, arte dal greco sensazione, che è la vera forza che smuove le coscienze.

Dobbiamo smuovere le cosciente. L’estetica veicolata dall’arte motiva all’azione, mette in evidenza un mondo da costruire, un mondo bello e nuovo in cui credere. Cioè in fondo l’estetica, l’arte, determina una speranza. e lo sport, elemento di coesione sociale, dalle straordinarie capacità educative, con particolare riguardo ai contesti  più svantaggiati.

Libera fin dalla nascita è nata con il Centro sportivo italiano, con l’Uisp, con l’Unione sportiva Acli, con l’Axi. Abbiamo creduto e promosso lo sport inclusivo, lo sportcome palestra di cittadinanza attiva e consapevole. 

Una mobilitazione come quella di oggi non si era mai vista. Ed è per questo che vorremmo che il 21 marzo fosse ricordata come una memorabile vittoria dello sport italiano, del mondo della cultura dell’arte in tutte le sue espressioni. Perché solo insieme, solo con un noi vinceremo la più importante delle partite, quella della dignità, della libertà e della democrazia. 

Si fanno strada anche nello sport, elementi che ostacolano e contraddicono il valore non negoziabile della lealtà. La trasparenza della legalità. Il pericolo in alcuni contesti, di infiltrazioni mafiose.

Ma lasciatemi dire, si può sbagliare, subire la giusta squalifica, e poi dare a tutti la possibilità del riscatto, di riprendere ad esserci. Ma non si può accettare che dopo aver accertato dalla magistratura, con esami e contro esami la manomissione delle fiale di urina di un nostro campione dello sport, che ha si sbagliato, che ha pagato, che poi si era rimesso in gioco, ma improvvisamente è stato ingiustamente fermato. 

Ad Alex il nostro maratoneta, anche noi chiediamo che possa tornare a correre alle olimpiadi di Tokio.

Ma amici, non c’è futuro senza radicamento nella storia vissuta. 

Attraverso la memoria, avviene la consegna di storie, di speranze, di volti, di sogni ed esperienze da una generazione all’altra.

La memoria non va fermata né ingabbiata nel passata.

Abbiamo bisogno di una memoria vita che si trasformi in responsabilità e impegno.

Non dimentichiamoci che senza memoria è un Paese senza storia e verità.

C’è il bisogno del diritto al nome, perché tutti devono essere chiamati per nome. Il primo diritto di ogni persona è di essere chiamato per nome. Ecco perché noi, con forza, leggiamo tutti questi nomi.

E la Giornata della memoria e dell’impegno nasce dopo le stragi di Capaci e via d’Amelio.

Quando in alcune circostanze si è sentito dire;: ricordiamo i ragazzi della scorta che accompagnavano il giudice. 

E io non dimenticherò mai quella mamma, tutta vestita di nero, che ad un certo punto mi prende la mano, me la strattona forte forte, e mi dice: “ma come mai non dicono mai il nome di mio figlio?”. Voleva sentire il nome di suo figlio e non in modo generico.

Ecco, il diritto al nome e per questo che è nata questa giornata per ricordarli tutti, tutti, tutti, il diritto al nome con la stessa forza e con la stessa dignità. E così anche il diritto alla verità.

Che bello, nonostante ci sono voluti quasi 32 anni, una sentenza ieri a Palermo per l’uccisione del figlio e la nuora che attendevano un figlio nel grembo, di Agostino e di Augusta. 

Ieri finalmente un pezzo di verità, ma Agostino ci ha detto che la barba non se la taglierà ancora finché tutta la verità non venga a galla. Augusta se n’è andata, non ha potutosentire e toccare con mano la sentenza di ieri, dopo quasi 32 anni. Il diritto alla verità ma ha voluto che sulla sua tomba fosse scritta questa frase: Qui giace una madre in attesa di giustizia anche oltre la morte. 

Si Augusta noi continueremo per te e per tutti gli altri, per il diritto alla verità, che è un diritto fondamentale, la condizione di ogni altro diritto. 

Diritto di sapere, di non essere ingannati, manipolati, o inascoltati.

La democrazia non può esistere senza verità. Voi, cari familiari, che in questo momento ascoltate, e che siete nei vari luoghi sparsi dell’Italia collegati con noi. Voi, la stragrande maggioranza di voi aspetta ancora verità e giustizia.

E si amici, eravamo nella prima giornata della memoria e dell’impegno, qui a Roma, in Campidoglio e con noi c’erano Rita Borsellino, Nino Caponnetto, Saveria Antiochia. E in quella circostanza, a quella prima lettura dei nomi, Saveria Antiochia aveva detto:

“Questa giornata è molto importante, soprattutto per noi che abbiamo avuto i nostri familiari uccisi. Non ci sono più morti di serie A e di serie B. oggi sono tutti morti di serie A”. E Saveria aveva aggiunto: “Un filo di dolore lega questo lungo elenco di morti. Dolore per tutte le famiglie che se li portano nel cuore”.

Ma purtroppo, dopo venticinque anni, siamo ancora qui a gridare:

1) Che sia riconosciuto lo status di vittima di mafia, anche a chi è morto per mano mafiosa in una data anteriore al 1 gennaio 1961. Mi dovete spiegare perché quelli che sono morti prima di quella data non sono riconosciuti.

2) L’equiparazione delle vittime del dovere, delle mafie, alle vittime del terrorismo. Non ci sono morti di serie A e di serie B.

3) Che la valutazione sull’estraneità ai circuiti criminali della vittima e dei suoi congiunti sia fatta in base alle frequentazioni reali e non in base al semplice grado di parentela. 

4) Un riordino delle norme che disciplinano i diritti delle vittime delle mafie, che spesso rimangono lettera morte a causa di inefficienze e di lungaggini burocratiche.

5) Che l’attenzione alla vittima venga posta al centro della riflessione del legislatore, in armonia con le direttive europee in materia. Perché l’Europa ha dato delle direttive che l’Italia non sta applicando.

6) Che le vittime di reati violenti, non di matrice mafiosa, possano ottenere forme di sostegno.

7) Che in materia di prescrizioni e decadenze non si attuino interpretazioni ingiustamente restrittive. 

Allora voi capite quanta strada, nonostante le promesse, c’è ancora da fare. 

Ma prescrizioni e decadenze fanno emergere leggi inadeguate, alcune funzionali a tutelare i potenti. Noi chiamati a lottare contro l’impunità, per i diritti umani calpestati, violati. Dobbiamo colpire l’impunità economica che perpetua le ingiustizie. La povertà è un crimine contro l’umanità.

Allora si, il cambiamento deve essere innanzitutto etico e culturale. 

Bisogna passare dal paradigma di un’immunità al principio di comunità. Come un caro amico ci ricorda sempre: passare da questo all’etica della condivisione e della corresponsabilità.

Ma c’è un’immunità che dobbiamo invece combattere: quella morale e politica, immunità dalle regole che tutelano il bene comune, immunità dalle responsabilità che ci competono come cittadini e come abitanti di un pianta sfruttato e violentato senza limiti.

Il dovere della verità. C’è un passo del profeta Isaia che mi è molto caro, quando dice: Sentinella quanto resta della notte. È la verità cari amici, che il buio, la notte è ancora per alcuni versi lunga. Lunga perché dal virus è possibile guarire, ma non saremo mai guariti del tutto se continueranno a diffondersi indisturbati nella nostra società, certi terribili virus del cuore, dell’anima, della mente.

Lo sapete l’egoismo, l’indifferenza, quella terribile malattia che si chiama delega, che ci sono sempre altri che devono fare. Non saremo mai guariti. Le nostre società continuaranno ad essere aggregazioni di IO separate e in lotta tra di loro, invece di comunità. Abbiamo bisongo di comunità dove il bene di uno e di tutti sono veramente una sola cosa.

La notte continuerà finché nei nostri cuori e nelle nostre teste non si svilupperà un pensiero complessivo capace di riconoscere la relazione dove prima vedevamo solo separazione, un pensiero artefice di un nuovo umanesimo e di una ecologia integrale, un pensiero empatico e complessivo. 

La notte continuerà se non prendiamo coscienza che la pandemia ha evidenziato e acutizzato mali preesistenti e che ci ha sbattuto in faccia le contraddizioni e la fragilità o meglio le fragilità di un sistema che ha provocato ingiustizie sociali, distruzione dei diritti, dei legami sociali e lo smantellamento avvenuto negli ultimi anni dello stato sociale, costringendo le nostre realtà a una sorta di ortopedia sociale

Sia ben chiaro, che non verrà mai meno da parte nostra la solidarietà, ma noi vogliamo lottare perché ci sia giustizia sociale. 

La notte continuerà se non termina questa inerzia omicida. Troppi hanno taciuto e continuano a tacere di fronte alle guerre che hanno sparso sangue, sofferenze, distruzioni. Traffico di armi, perché il silenzio di fronte ai soprusi di un sistema economico che con l’alleanza e la compiacenza del potere politico, ha colonizzato, sfruttato, depredato vaste regioni del pianeta costringendo milioni di persone adessere condannate a vita dal proprio luogo di nascita, e il loro migrare spesso una deportazione indotta, un nuovo olocausto. 

Sostenere le ONG è un dovere e una responsabilità, perché vuol dire permettere loro di proseguire nell’attività di soccorso. Vuol dire far parte di quell’Italia che si oppone al naufragio delle coscienze. Per me vuol dire salire su quelle navi e dire che stiamo lottando anche noi che la vita non può offendere, la vita di altri.

Vergogna, vergogna, ancora una grande emorragia di umanità quando sentiamo respingere lo ius soli, è una vergogna, una emorragia di umanità.

Vogliamo salire su quelle navi anche se fisicamente non lo possiamo, ma vogliamo essere vicino agli amici di Mediterranea al progetto Resk persone che salvano altre persone. 

La notte continuerà se non ci poniamo domande sulle cosi dette bande giovanili violente. Fatti che ci interrogano e ci stimolano ad immaginare progettualità ed interventi, cvheaffrontino i nodi problematici e cerchino di alleviare le sofferenze di questi ragazzie li aiutino a ritrovare un senso, un ideale, un sogno per cui dare un valore alla propria vita. 

Provenire dalle periferie delle città e ricercare nel gruppo un0identità, un’appartenenza è la storia di molti di questi ragazzi. Ma come molti di voi ben sapete, queste sono questioni non nuove ma che ciclicamente ci si trova ad affrontare. Lo abbiamo visto negli anni 70 e 80 ed è proprio grazie ad interventi mirati di politiche giovanili, di educativa di strada, di confronto  con l’autorità giudiziaria minorile, di riqualificazione urbana che si è prodotto un circolo virtuoso che ha prodotto risultati  interessanti nei tessuti cittadini.

Allora è possibile: i ragazzi hanno bisogno di aggregazioni, non bisogna mai lasciare che parti di città siano abbandonati a loro stessi. È li che si creano le condizioni per la formazione di gruppi di ragazzi che si contrappongono per costruirsi una identità che spesso manca.

Dobbiamo attivare l’attenzione perché loro cercano di attirare su di se l’attenzione. Lavorare per un tentativo di integrazione sociale e culturale a partire dalle loro realtà e dai loro contesti di vita.

E si, mafia e corruzione e i loro consolidati, vengono spesso, mi spiace dirlo, da una politica fiacca e a volte anche un po’ complice, da una coscienza civica fatta di parole, da un’antimafia discontinua o meglio stagionale, ha ragione Falcone quando diceva, parlando proprio della politica e delle istituzioni diceva: Le istituzioni sono sacre. E diceva che non bisogna mai confondere le istituzioni con le persone. È vero che proprio perché le istituzioni sono sacre, chi le rappresenta deve dimostrarsi eticamente all’altezza del ruolo.

La sacralità delle istituzioni sta nel loro essere garanti e promotrici di bene comune.

Allora la politica, non bastano le riforme se non riforma se stessa. 

Il cambiamento comincia anche dalle nostre coscienze, dai nostri modi di essere. 

Allora deve cambiare la politica, ma dobbiamo, amici, cambiare anche un po’ noi.

Ma ci sono le stelle. Uscire da questi deserti, da questi inferni e guardare le stelle. 

Non dimentichiamo quando nel 1996 abbiamo raccolto milioni di firme, dal basso, per una petizione popolare, la legge 109 la legge per la confisca dei beni ai mafiosi e il loro uso sociale. 

Era il sogno di Pio La Torre, la legge Rognoni La Torre del 1982. Un’intuizione e un sogno, la necessità di colpire la mafia, sotto il profilo economico, nei suoi interessi. Uso sociale della confisca, un bene non solo giusto ma utile. 

Allora l’uso sociale, uso sociale vuol dire che bonifica sociale e culturale delle coscienze, è rifiuto della rassegnazione e della paura, perché vuol dire saldare il bene morale con l’utile economico. Sono oggi 900 le cooperative e le realtà che ne hanno potuto fare uso. 

Sono 1000 comuni e quindi dobbiamo sottolinearel’importanza di questo progetto e di questa proposta. Tanta strada si è fatta ma tanta strada deve essere ancora fatta. Ci sono zone d’ombra delle migliorie necessarie. Grazie a quanti sono impegnati, ma anche qui ci vuole uno scatto in più.

La responsabilità è la cinghia di trasmissione tra la confisca e il bene comune. Uno strumento che sta alla nostra responsabilità trasformare in veicolo di giustizia sociale, di accoglienza, di lavoro e di formazione. 

Forza, sono passati 25 anni. Bisogna veramente nei fatti che avvenga l’estensione effettiva della confisca ai corrotti, la destinazione di una quota del fondo unico giustizia per permettere in grado questi beni di essere consegnati operativi, perché molte realtà non sono in grado di poterlo fare. Rendere fruibili bei mobili e immobili, sostenere la continuità delle attività aziendali, quelli che sono possibili recuperare, gli altri devono avere la loro strada, e tutelare sempre i lavoratori.

E dare supporto a progetti imprenditoriali di giovani, di economia, di inclusione sociale. C’è tanta strada. Dev’essere migliorata e potenziale la legge, sia nel dispositivo che nell’attuazione. Evitare lungaggini burocratiche, disordine normativo, e soprattutto c’è bisogno di competenze nuove. Ci stanno lavorando persone stupende che giustamente sono le prime a chiedere questo scatto in avanti.

Ma c’è un’altra stupenda stella, è da anni, da diversi anni, che in un modo molto riservato, discreto, in collaborazione con altri, noi con altri, accompagniamo chi vuole uscire da un mondo, quello cattivo e disumano, il mondo della mafia. 

Anche li, vanno ricercarti, alimentati, anche li nei mondi della mafia, i barlumi di speranza. Quasi sempre i barlumi di speranza li trovi, ecco la stella, in storie di donne, donne che si ribellano alla legge del clan, e cercano una strada per uscirne. Donne che non riescono più a trovare normale la vendetta, la violenza, l’omicidio. Donne che diventate madri, guardano i loro bimbi e non accettano che quelle vite un giorno saranno delle pedine di un gioco di potere, di violenza, di carcere, di morte.

Sono le donne, sono le donne un punto avanzato del risveglio antimafia. Le mafie hanno sequestrato la vita di tante persone, ma tocca anche a noi aiutarle a liberarsi.

Allora col progetto Liberi di scegliere, che ha visto scendere in campo anzitutto la Conferenza Episcopale Italiana e poi dopo alcuni ministeri, che ha visto nel tribunale di Reggio Calabria l’apertura di questi percorsi. Stiamo aiutando a trovare sistemi legislativi nuovi.

Le stelle, le stelle. E un’altra stella, come poco fa ci è stato ricordato, che è  anni che Libera ha costruito con la giustizia minorile. Offrire opportunità a ragazzi che hanno, si sbagliato, ma che devono essere aiutati, accompagnati a trovare spazi, riferimenti, altre possibilità

E allora anche qui l’importanza di non dimenticarci che la pandemia sta creando una voragine nella disuguaglianza sociale del Paese, a partire dai più piccoli, aggravando non solo la povertà materiale di un numero crescente di minorenni, ma anche la povertà educativa, riducendo in modo inaccettabile la loro possibilità di crescita. 

Si deve fare di più e subito per questi ragazzi che si disperdono e con ciò disperdono la nostra capacità di futuro. La società responsabile ha il compito di aiutare le istituzioni e noi lo vogliamo fare sempre collaborare adessere per gli studenti occasione di crescita personale e collettiva, ponendosi come occasione per superare la fragilità sociale e la pervasività della presenza mafia. 

Occorre infatti rifondare il patto educativo tra scuola, famiglia e territorio in una risposta integrata capace di essere argine alla proposta mafiosa per dare vita ad una vera e propria comunità di apprendimento  e di crescita in azione.

Oggi si parla molto dell’inserimento dell’educazione della cittadinanza, al di là delle 33 ore annuali è importante ribadire il ruolo educativo della scuola, essere palestra di cittadinanza aprirsi agli altri soggetti sociali, sostenerel’incontro con il mondo e la presenza attiva in esso.

Il DAD più che didattica a distanza, lasciatemi dire, potrebbe essere coniata una nuova sigla, dispersi a distanza. Si perché l’abbiamo visto nei fatti, ragazzi dispersi e che sono sempre più lontana dai propri adulti di riferimento, respinti verso i propri letti e divani. Salviamo una generazione, generiamo una rete maggiore di prossimità.

E allora si l’educazione è generatrice di vita solo se ciascuno di noi la testimonia con le sue scelte e comportamenti. Solo se tutto il contesto sociale è partecipe e protagonista, come la scuola e la famiglia.

Una parola sola ma grande, grande, grande: i giovani ci sono, sono meravigliosi, i giovani hanno bisogno di trovare punti di riferimento veri, credibili, coerenti. I giovani sono aperti alla vita, sono affamati di conoscenza, sono animati da domande profonda, da inquietudini positive. Sono desiderosi di nutrirsi non di parole. Hanno bisogno di fatti, azioni, concretezze, opportunità.

Allora forza non prendiamoli in giro, riconosciamoli, sono loro oggi che ci trascinano, ieri con lo sciopero mondiale per il clima promosso dai giovani. 

I giovani ci sono ma questa è la prima generazione di giovani acui è stato derubato letteralmente il futuro. Non generazione che spera in un futuro migliore, ma che speraun futuro ci sia.

È necessario nei fatti non nelle parole, una società, perché una società che non investe sui giovani divora se stessa e non crede nel proprio futuro.

È anche necessario che l’Unione Europea riscopra la sua identità comune, l’impegno di tutti per assumersi la responsabilità per una unità nella diversità.

Allora forza amici, a tutti quelli che ci stanno ascoltando, in tutti i luoghi, centinaia di luoghi. Abbiamo bisogno insieme di segni forti, di gesti concreti, siamo troppo divisi, chiusi ognuno nel suo mondo.

Ecco il senso di evitare che si generalizzi. È necessario mettersi insieme in ascolto del futuro e dare alla nostra vita credenze nuove e non solo emozioni passaggere, cambiare rotta insieme, riscoprire la gioia della corresponsabilità e della collaborazione.

Forza amici e domani, forza amici, 21 primo giorno di primavera fermiamoci un attimo in silenzio per guardarci dentro, attorno, per vivere ancora una volta una memoria viva che deve trasformarsi nella quotidianità nella responsabilità e in impegno. 

Forza continuiamo a camminare insieme. 

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