Mt 25,31-46
In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: «31Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. 32Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, 33e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. 34Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi». 37Allora i giusti gli risponderanno: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? 38Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?». 40E il re risponderà loro: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me». 41Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, 42perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 43ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato». 44Anch’essi allora risponderanno: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?». 45Allora egli risponderà loro: «In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me». 46E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».
Ricorre oggi la memoria di Martino, originario di una regione dell’odierna Ungheria, ma detto di Tours dal nome della sede di cui è stato vescovo. La sua vicenda ci riporta al IV secolo ed è quella del primo santo non martire ad essere stato ricordato come tale dalla chiesa: il primo di una lunga serie di persone che, pur non avendo incontrato il martirio, nel dono più quotidiano ma non meno eroico della loro vita, testimoniano la comunione più forte della morte nella quale sono state accolte.
Martino è stato un santo molto popolare e abbiamo presente la scena, tante volte ripresa nell’arte occidentale, che determina la scelta del brano evangelico: l’incontro con il povero alle porte di Amiens. Grazie a Sulpicio Severo, primo biografo di Martino, vediamo come il vangelo dà forma alla vita dei santi e in particolare questo santo dà carne al vangelo.
Martino riveste con metà del suo mantello un uomo nudo, sofferente per il freddo, incontrato sulla sua via, uno di quelli che Cristo chiama “uno dei miei fratelli più piccoli”. Ma è solo successivamente che fa il collegamento suggerito dalle parole del re nel vangelo: “Ciò che gli hai fatto, l’hai fatto a me”. Si legge infatti nella sua Vita che soltanto la notte seguente, in sogno, Cristo stesso gli rivelò “di essere stato rivestito lui nella persona del povero”.
Arriviamo sempre tardi, sempre dopo, a capire quanto è decisivo ciò che ci capita di vivere oggi. Il vangelo del giudizio ultimo ci avverte: il giudizio in realtà non viene per ultimo, non è remoto, non sarà per allora ma è per ora, si gioca, per noi come per Martino, nel prossimo incontro che ci sarà dato di fare oggi. Dipende dunque dal nostro lasciarci toccare dalla situazione dell’altro e dalla nostra capacità di rispondervi con prontezza e creatività, con gesti che siano di conforto e aiuto concreti. La vita cristiana, se non arriva a questo, manca l’essenziale.
Certo, questo lo impariamo da Gesù, dal modo in cui lui vive l’incontro e sa farsi prossimo, così ben sintetizzato nella celebre parabola del buon samaritano (cf. Lc 10,29-37). Ma c’è un altro testo che può nutrire la nostra meditazione. Un parallelo che prende spunto da un’altra immagine usata da Sulpicio Severo (cf. Lettere 3,16-17), questa volta quando narra l’ultima ora di Martino. Prima di morire le sue ultime parole sarebbero state: “Il seno di Abramo mi accoglie”. Martino è accolto “nel seno di Abramo” come il povero Lazzaro di Luca 16,22. Non così il ricco di quella parabola, che si accorge del povero che stava alla sua porta quando è troppo tardi.
Nel giudizio il vangelo illuminerà le omissioni che hanno scavato un baratro tra noi e gli altri. Allora chiederemo misericordia, ma ora convertiamoci! L’unico modo per trovarsi insieme “nel seno di Abramo” e non fare delle nostre vite un inferno è decidere di superare oggi quella distanza che ci separa dalla comunione: decidere di vedere l’altro, incontrarlo nel suo bisogno, farsi prossimi a lui con quello che abbiamo.
Come testimonia tutta la rivelazione iniziata con Abramo, padre dei credenti, capace di accogliere e così concretamente amare chi si presentava alla sua porta (cf. Gen 18,1-16), non è proprio questa la volontà ultima del Signore (cf. Gv 15,9-13)?
“Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato,
nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto,
nel vestire uno che vedi nudo?” (Is 58,7).
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