Vangelo del giorno: il cielo dentro di noi


Luca 11,1-4
Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione».

Silesius, mistico tedesco del seicento scrive: “Fermati, dove corri? Il cielo è dentro di te! Se cerchi Dio altrove, lo perdi sempre di più”.
Cosa intendiamo quando diciamo “nei cieli?”. Dove abita Dio?
Con l’incarnazione è successo qualcosa di grande: si sono capovolte le prospettive. La carne dell’uomo è divenuta il cielo di Dio. Ora ogni pezzo di carne è cielo di Dio.
L’unico luogo dove sta di casa Dio, è l’uomo. Noi siamo il cielo di Dio; i poveri sono il cielo di Dio.
Se vogliamo incontrare Dio non è necessario più alzare gli occhi al cielo, ma occorre prenderci cura delle carni. Cominciamo ad entrare dentro noi stessi.
Se vogliamo incontrare il nostro Dio, non occorre più salire al cielo, tentando improbabili scalate ascetiche, ma prenderci cura del fratello che è caduto all’inferno.
Stiamo attenti. Dire “che sei nei cieli” vuol dire che mi è intimissimo ma al contempo indisponibile. Dio è sempre oltre ogni mio pensiero, immaginazione e idea!
E se Dio, immischiandosi nell’umana avventura, avesse traslocato dal cielo all’inferno? E se per incontrarlo non fosse più necessario guardare in alto, ma dentro la parte più sporca e indecente di noi? E se il peccato non fosse ciò che condanna la creatura ad un’irrimediabile lontananza da Dio, ma piuttosto l’unico “luogo” per vivere l’incontro con Lui? Sono domande che mi inquietano e oggi condivido con voi. E se fosse proprio così? «Voglio saldare terra e cielo, con il Vangelo e la Costituzione Italiana» dice spesso don Ciotti ricordando l’incontro che gli ha cambiato la vita. È stato quando aveva 17 anni e non era ancora sacerdote. Un barbone, che era stato un medico e passava la giornata leggendo libri sulle panchine della Torino del 1962, in cui non si parlava ancora di droga, indicò al giovane Luigi Ciotti un bar in cui i giovani mescolavano farmaci e alcool: tutto iniziò dalla voglia di aiutare quei giovani e poi non ebbe mai una parrocchia, ma gli fu affidata la strada: «A imparare a riconoscere nel volto degli ultimi quello di Dio».

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